L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite rappresenta per il Dottore Agronomo e il Dottore Forestale, non solo un’importante sfida nel perseguimento di obiettivi di sostenibilità, ma anche un’opportunità per tracciare il profilo professionale del futuro.
Prima di questa data, che probabilmente rimarrà sui libri di storia dei nostri nipoti, la formulazione dello sviluppo sostenibile della commissione Bruntland (è sostenibile lo sviluppo che assicura il soddisfacimento dei bisogni della presente generazione senza però compromettere quello delle future generazioni), ha rappresentato per anni un riferimento dai contorni leggermente sfumati. Lasciava, infatti, ampi spazi per lunghe e faticose discussioni. Spesso, delle tre componenti dello sviluppo (resilienza economica, benessere sociale, integrità ambientale) si pensava che dovesse prevalere, a seconda delle occasioni, l’una sulle altre. Viene prima l’economia? O prime l’ecologia e la società? quale delle tre? Non si era sufficientemente sottolineata la necessità di una visione integrata. O non la si sapeva considerare e prevaleva ancora, spessissimo, un controproducente quadro di realtà frammentata, limitata nel tempo e nello spazio. Fortunatamente, il dibattito sulla sostenibilità, e i suoi componenti spezzati, è cresciuto negli ultimi decenni fino ad arrivare alla formulazione dell’agenda 2030, che ha chiarito per sempre la dimensione sistemica del concetto, che ne ingloba molti altri, senza ridurne l’organicità. Ma ancor prima del 2015 - almeno in alcuni ambiti della società - questi aspetti erano stati chiariti. Una traccia a noi vicinissima? Nell’articolo 4 del codice deontologico dell’ordine degli agronomi, in quei 10 punti sintetici (una specie di decalogo) la parola biodiversià è ripetuta due volte, si cita la qualità del paesaggio, del territorio, dei sistemi agroalimentari, si indica la necessità di annullare gli sprechi, di ridurre le differenze fra territori, ma all’interno di una cornice chiara e definita subito, nell’incipit, il primo principio è: “concorrere allo sviluppo integrato e sostenibile”. Concorrere, nel suo significato di resistente corsa con altri, partecipare ad un viaggio operoso verso lo scopo comune dello sviluppo sostenibile. Condividendo non solo l’obiettivo, ma anche l’etica, i linguaggi, gli strumenti, un capitale immateriale da consegnare alle generazioni che verranno. Il codice deontologico sembra ispirarsi ad Agenda 2030 senza, tuttavia, citarla: il codice viene approvato, infatti, nel giugno del 2013, due anni prima.
Agenda 2030 rappresenta un fatto di assoluta rilevanza, per almeno 3 aspetti: è una formidabile sintesi di tematiche che negli ultimi trent’anni hanno sollevato forti dibattiti e dispute; è un documento che non si ferma agli aspetti tecnico-scientifici della sostenibilità, ma si spinge anche quelli socio-politici ed etici; è un documento sottoscritto da 193 Paesi, impegnando così l’umanità intera a rivedere i criteri di comportamento, le politiche, le azioni nei confronti del Pianeta, che la ospita. Tutto ciò in modo preciso, quantitativo, definito nei 17 obiettivi e nei tanti indicatori in vista di una precisa data, quella del 2030. E’ interessante esaminare i passaggi logici sui quali è strutturato il documento. Agenda propone inizialmente uno sguardo sul nostro presente: “Ci riuniamo in un periodo di enormi sfide per gli sviluppi sostenibili. Miliardi di nostri concittadini continuano a vivere nella povertà e sono privati di una vita dignitosa. La disuguaglianza è in crescita sia fra i diversi Paesi, sia all’interno di essi. Ci sono enormi differenze per ciò che concerne opportunità, ricchezza e potere. La disparità di genere continua a rappresentare una sfida chiave. La disoccupazione, specialmente quella giovanile, rappresenta una priorità. Le minacce globali che incombono sulla salute, i sempre più frequenti e violenti disastri naturali, la crescita vertiginosa dei conflitti, le minacce violente, il terrorismo, le crisi umanitarie e lo sfollamento forzato delle popolazioni che ne consegue, minacciano tutti i progressi allo sviluppo degli ultimi decenni”. Agenda 2030 non concede sconti, non risparmia nessun settore e sembrerebbe indulgere ad un pessimismo demoralizzante e paralizzante. Ma, dopo questo primo messaggio, segue un secondo, fondamentale per capire l’intero carico culturale: “al tempo stesso, la nostra è un’epoca di grandi opportunità. Sono stati compiuti progressi significativi nel far fronte alle sfide per lo sviluppo. Nelle generazioni passate, decine di miliardi persone sono uscite dalla povertà estrema. L’accesso all’istruzione è notevolmente aumentato sia per i ragazzi sia pe le ragazze. La diffusione dei mezzi di comunicazione e informazione di massa e l’interconnessione globale permettono di accelerare il progresso dell’uomo, di colmare il divario digitale e di sviluppare società basate sulla conoscenza, così come lo consentono le scoperte scientifiche e tecnologiche anche in settori tanto diversi fra loro quali medicina ed energia”. Le due parti di Agenda 2030, le sfide e le opportunità, formano un unico insieme che allerta, ma non paralizza. Spinge all’azione. Indica una condizione critica di insostenibilità, ma traccia la strada per poter uscire. Questo ponte fra passato e futuro dello sviluppo sostenibile è costruito sui 4 pilastri dell’Economia, Società, Ambiente, Istituzioni. Non devono essere affrontati separatamente, anzi. Agenda 2030 ad ogni passaggio, richiama i tre principi dell’integrazione, dell’universalità e della partecipazione. Tutti i Paesi sono invitati a contribuire attivamente al progetto, non si può raggiungere un vero sviluppo sostenibile lasciando indietro qualcuno, oppure pensando che qualche situazione avvantaggiata possa rappresentare un passo avanti, se non è seguito da un avanzamento globale. Possiamo comprendere e interpretare coerentemente Agenda 2030 se indossiamo le lenti di una visione integrata e se siamo consapevoli che ciò significa una rivoluzione rispetto alle rappresentazioni di sviluppo sostenibile estremamente semplificate, ricondotte ad una sola dimensione, spesso esclusivamente economica. Ciò significa volere modificare molti contesti professionali ancora di fatto impermeabili all’analisi sistemica e ai suoi benefici.
La figura rappresenta in forma grafica i 17 obiettivi di Agenda 2030. Non sono da considerare uno alla volta, non è uno spezzatino, ma tessere di un mosaico, o meglio gli strati di una torta nuziale, da vedere nell’insieme. Ogni obiettivo è strutturato in sotto-obiettivi per un insieme di 169 traguardi, interconnessi e indivisibili, con i relativi indicatori che li rendono precisi e concreti nella comprensione, applicazione, monitoraggio.
Figura 1. Rappresentazione grafica a torta nuziale dei 17 obiettivi di Agenda 2030
Dodici obiettivi salvaguardano la salute e il benessere umano attraverso un uso sostenibile delle risorse naturali e dieci di essi possono essere raggiunti solo se l’uso efficiente delle risorse viene sostanzialmente migliorato rispetto al presente. Lo strato di base riguarda più strettamente l’ambiente naturale (nel box vengono descritti i 17 obiettivi).
BOX Obiettivi per lo sviluppo sostenibile
Obiettivo 1. Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo
Obiettivo 2. Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile
Obiettivo 3. Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età
Obiettivo 4. Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti
Obiettivo 5. Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze
Obiettivo 6. Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie
Obiettivo 7. Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni
Obiettivo 8. Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti
Obiettivo 9. Costruire un'infrastruttura resiliente e promuovere l'innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile
Obiettivo 10. Ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le nazioni
Obiettivo 11. Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili
Obiettivo 12. Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo
Obiettivo 13. Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico
Obiettivo 14. Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile
Obiettivo 15. Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre
Obiettivo 16. Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo
Obiettivo 17. Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.
La sua partecipazione può diventare cruciale a patto che sappia mettere a frutto il principale nucleo del proprio background culturale: la visione sistemica, o meglio saper conciliare una conoscenza di sistemi complessi con competenze tecniche precise, indirizzate, circoscritte. Lo studio, la progettazione, la gestione, il monitoraggio degli agroecosistemi costringe a sviluppare questo nucleo. Gli agroecosistemi, a partire dalle aziende agricole, sono sistemi complessi: i più complessi in assoluto, perché, unici, sono costituiti da due parti molto diverse tra loro. Si basano su risorse naturali (suolo, aria, acqua, biodiversità) e quindi hanno tutti i caratteri degli organismi viventi, dinamici, evolutivi, differenziati, sito-specifici. Ma sono anche governati e orientati da scelte tattiche e strategiche di origine antropica, e quindi hanno sicuramente i caratteri riconducibili ad ambiti tecnologi, socio-economici, politici. Si raggiungono, così, livelli di complessità difficilmente riscontrabili in altri ambiti di pensiero e azione. Gli agroecosistemi, a partire dall’azienda agricola, sono quindi sistemi complessi, vincolati e sottoposti contemporaneamente alle influenze dinamiche di fattori ecologici (caratteristiche pedo-climatiche), fattori economici (mercati locali o internazionali) e normativi (Comune, Regione, Stato, UE). Le due parti, natura e cultura, dialogano continuamente. L’intero bagaglio culturale formato da studi di agronomia, estimo, economia, meccanica agraria, allevamento, impianti, sviluppato con progetti di interventi alle diverse scale, perizie applicate ad opere di modifica di sistemi colturali, aziendali, agroalimentari costituisce una rendita di posizione particolarmente vantaggiosa rispetto ad altre professioni, strutturalmente portate ad affrontare i problemi con una visione più focalizzata, tecnologica, molto spesso riduzionista. Lo studio di sistemi complessi biologici, dinamici ed evolutivi come i sistemi del verde urbano, le reti ecologiche, gli impianti di fitobonifica porta a sviluppare sensibilità e professionalità di base sistemica.
E’, quindi, possibile scorrere i traguardi di Agenda 2030 e trovarne molti che richiamano/implicano cultura sistemica (dell’agronomo). Eccone alcuni esempi:
2.4 Entro il 2030, garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili e implementare pratiche agricole resilienti che aumentino la produttività e la produzione, che aiutino a proteggere gli ecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, a condizioni meteorologiche estreme, siccità, inondazioni e altri disastri e che migliorino progressivamente la qualità del suolo
5.a Avviare riforme per dare alle donne uguali diritti di accesso alle risorse economiche così come alla titolarità e al controllo della terra e altre forme di proprietà, ai servizi finanziari, eredità e risorse naturali, in conformità con le leggi nazionali
6.6 Proteggere e risanare entro il 2030 gli ecosistemi legati all'acqua, comprese le montagne, le foreste, le paludi, i fiumi, le falde acquifere e i laghi
8.9 Concepire e implementare entro il 2030 politiche per favorire un turismo sostenibile che crei lavoro e promuova la cultura e i prodotti locali
11.7: Entro il 2030, fornire accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare per donne, bambini, anziani e disabili
12.2 Entro il 2030, raggiungere la gestione sostenibile e l’utilizzo efficiente delle risorse naturali
13.3 Migliorare l’istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale per quanto riguarda la mitigazione del cambiamento climatico, l’adattamento, la riduzione dell’impatto e l’allerta tempestiva
15.a Mobilitare e incrementare in maniera significativa le risorse economiche da ogni fonte per preservare e usare in maniera sostenibile la biodiversità e gli ecosistemi
Chi conosce ed è in grado di progettare modifiche degli agroecosistemi ha in mano uno strumento formidabile per almeno due ragioni. La prima: il sistema agroalimentare potrà essere una potentissima leva di cambiamento verso lo sviluppo sostenibile. Esso è infatti, fra tutti i sistemi di produzione, insediamento, servizio, quello che dovrà rispondere, da un lato, ai nostri bisogni primari e, dall’altro, potrà influire fortemente (positivamente o negativamente) sul surriscaldamento globale, sul cambiamento dell’uso del suolo, sulla perdita di biodiversità, sulla riduzione della qualità delle risorse idriche, sugli inquinamenti degli ecosistemi acquatici e terrestri. La seconda: è necessario progettare un futuro migliore e per farlo sono necessarie molte componenti, fra cui la professionalità, nel significato più ampio (vedi articolo 4 del codice). Se progettati, gestiti, monitorati male e ridotti alla stregua di meccanismi semplificati, gli agroecosistemi perderanno via via le funzioni ecosistemiche e forniranno disservizi. Viceversa, una visione sistemica, integrata, multiscala così come proposta dall’agroecologia, che sappia integrare professionalità, etica, consapevolezza, sarà sempre più necessaria per poter partecipare alla costruzione di un futuro migliore sul Pianeta.
Stefano Bocchi è Professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano